Giovedì pomeriggio poco dopo le 14, il Teatro Cinema del Pavone si è riempito, letteralmente, di gente. Era ancora una bella giornata, il sole splendeva su un Corso Vannucci colorato da facce sorridenti e da giornalisti in fila per intervistare Luca De Biase appena uscito proprio dal Pavone dove aveva partecipato a "L'alba del nuovo giornalismo".
Io stessa ho faticato a trovare un posto per sedermi, quando, ormai senza nulla da perdere, mi rifugio nell'ultimo palchetto libero che però si trovava proprio sopra il palcoscenico. Mi siedo, soddisfatta. Dopo qualche minuto, una sconosciuta entra e mi chiede se il posto vicino al mio fosse libero. Annuisco.
Prima di guadagnare l'agognata postazione, mi imbatto in Arianna Ciccone, che vagava felice ed attiva come elfo nei boschi e interrogava con lo sguardo chiunque. La rassicuro dicendo che, nonostante il cambio di orario dell'incontro, ero certa che la maggioranza del pubblico non si era sbagliata: a quell'ora da programma era stato previsto, inizialmente, Oliviero Toscani col suo workshop fotografico, slittato alle 18, ora in cui, appunto, Ezio Mauro sarebbe stato intervistato da Angelo Agostini.
Neanch'io mi sbagliavo: eravamo (quasi) tutti lì per Ezio Mauro, accolto dal primo di una lunga serie di applausi.
A quasi un anno dalle fatidiche dieci domande rivolte a Silvio Berlusconi, Ezio Mauro arriva al Festival Internazionale del Giornalismo quest'anno con la volontà di far riflettere il paese sulla reazione-non reazione del premier.
C'è da riflettere, insiste il direttore de la Repubblica, su due fatti: il presidente del Consiglio avrebbe dovuto rispondere in primis come cittadino e lo scalpore suscitato da questo "lavoro di inchiesta".
Le risposte alle dieci domande hanno tardato a venire e una volta arrivate erano incomplete. Di per sé questo atteggiamento è una risposta. L'undicesima. O forse la prima.
Questa "battaglia giornalistica", perché tale ha finito per apparire, continua appassionatamente Mauro, si inserisce altresì in un quadro assolutamente normale in altri paesi liberi, prassi in uso al "libero giornalismo nelle democrazie occidentali". E' stato "solo giornalismo", come scrisse Le Monde.
Mauro ricorda un illustre antecedente: la domanda posta da Bobbio nel 1994 su La Stampa a Berlusconi allora capo di un partito nascente dalla forma nuova. Qual'è lo statuto di questo partito se l'articolo 91 della costituzione recita che i partiti concorrono a determinare la politica nazionale con metodo democratico? Qual'era il metodo democratico di Forza Italia, visto che non c'era uno statuto nel partito ? Il grande filosofo della politica ottenne attacchi ed imbarazzo. "Il diritto di fare domande" fu l'articolo che ne seguì.
Mauro invita ancora a riflettere sulla pigrizia intellettuale a latere delle dieci domande: se si intepreta correttamente il proprio lavoro e lo si fa con passione gratuita, sia esso il giornalismo o la politica, si riconoscono i primati del proprio lavoro. Ma un paese che ha paura di un giornale, delle sue idee, che si disconnette "dall'unica riserva democratica", fa pensare. Un giornale è solo carta e inchiostro, ma forse c'è qualche idea. E qui scatta un applauso. Appassionato anche questo.
E' stato il giornalismo a dettare un obbligo, insiste Mauro, un giornalismo investigativo e un lavoro di inchiesta, portato avanti da Giuseppe D'Avanzo, presente in sala ma non sul palco, che Agostini invita formalmente a partecipare al Festival il prossimo anno.
"A capotavola di una società democratica può sedere solo la politica, la sola in condizioni di disciplinare il conflitto fra legittimi interessi in nome dell'interesse generale. La politica deve essere totalmente autonoma dai giornali": lanciando questa sua idea, Mauro dà occasione ad Agostini di introdurre la vicenda Veronica Lario - Silvio Berlusconi. Repubblica aveva pubblicato quaranta righe sulla partecipazione del premier alla festa di Casoria. L'indomani l'ex-moglie del presidente del Consiglio si rivolgeva all'Ansa (e non al suo giornale), dopo due giorni Berlusconi si faceva intervistare a Porta a Porta.
Questi i fatti e via alle domande: le contraddizioni del potere, le sue bugie sono un problema per i cittadini oppure no? Altro applauso. Perché il presidente del Consiglio è costretto a mentire ai suoi cittadini su questa vicenda? In qualunque paese si mettono insieme le contraddizioni e se ne chiede conto. Repubblica chiama Gianni Letta e comunica le dieci discrasie fra le dichiarazioni del premier e quelle dei protagonisti della vicenda. Il premier era al Cairo e Repubblica chiede quattro giorni, termine non rispettato.
Negli Stati Uniti, l'opinione pubblica cresce nella consapevolezza informata, continua Mauro. La macchina della Casa Bianca lavora per rispondere alle accuse quando queste legittimamente arrivano. Questo manca in Italia. I giornali europei hanno ripreso la battaglia di Repubblica con i loro strumenti, guadagnando a loro volta accuse da certa stampa italiana. Ma a un certo punto, si infervora Mauro, proprio in Italia si è capito che per fare la battaglia politica servono i giornali. E qui inizia la cronaca del settembre dell'anno scorso. Cambia il direttore de Il Giornale. Quello uscente se ne va con dispiacere, non rimpiangendo nulla, solo una battaglia gli è mancata: "rovistare nel letto dei direttori e degli editori degli altri giornali". E' un manifesto di programma giornalistico, editoriale. Il nuovo direttore de Il Giornale lo trova un letto da rovistare: denuncia di omosessualità Boffo presentando un foglio scritto nel linguaggio tipico dei servizi segreti dove Boffo sarebbe risultato "attenzionato come noto omosessuale". Può una procura, si chiede il direttore di Repubblica, al di là del degrado sintattico e verbale, scrivere una cosa del genere? Ma qualcuno, incappato in questa macchina, ha perduto il proprio lavoro: è la conseguenza di una non corretta informazione, che non lascia spazio ad alcuna riabilitazione. La menzogna diventa killeraggio umano e professionale. L' inchiesta, perché tale è, viene subito banalizzata con la solita metafora calcistica: " Il Giornale-Repubblica 1-1" è uno dei titoli di quei giorni.
A questo punto Agostini, all'ennesimo applauso, provoca Mauro: questo teatro è forse uno specchio distorto della realtà? Siamo forse tutti comunisti qui e solo qui? Perché la sinistra non ha fatto di questa inchiesta di Repubblica una questione politica di opposizione? Le ragioni sono culturali, risponde Mauro. Viviamo immersi in un senso comune dominante, cosa ben diversa dall'opinione pubblica. Il premier, uno dei migliori interpreti del senso comune del paese, anzi uno dei suoi maggiori fabbricanti, agisce su questo senso comune. Un esempio: la scelta di celebrare la Resistenza al fascismo il 25 aprile del 2009 con un discorso, riconosce Mauro, che raggiunse il massimo dei consensi e strategica mossa in un momento per lui estremamente delicato.
Agostini informa in tempo reale Mauro e la platea sullo stato del "dialogo" di questi giorni fra premier e presidente della Camera. Il Giornale "di famiglia del premier" è stato criticato da Fini, che si è sentito rispondere: "è in vendita. Compratelo tu". Non tutto è in vendita, ribatte Mauro. Soprattutto il coraggio e il dovere di informare, non solo in senso giornalistico.
Infine, gli interventi dal numeroso e, anche lui, appassionato pubblico. Il conflitto di interessi, che , mentre parliamo "opera, lavora, deforma...è la confisca della moderna agorà", ribatte Mauro, è una questione capitale. E' un dato permamente della "sazietà democratica", che non ha voluto stabilire le regole del gioco. Repubblica ne ha parlato senza sosta, e non ne ha fatto una campagna permanente perché il giornale è vivo, si fa ogni giorno, si scontra con la realtà deformandosi ed aprendosi a spazi e declinazioni inaspettate. Anche la contraddizione è viva e palpitante e va catturata subito, denunciata ogni volta e così Mauro risponde alla domanda che chiede perché Repubblica non abbia fatto del conflitto di interessi un'altra campagna permanente. A tale proposito, ricorda Berlusconi che in occasione dell'unica ed ultima apparizione del direttore di Repubblica a Porta a Porta (altre risate ed applausi), lo ha subito interrotto quando ha menzionato il conflitto di interessi con un "ma lei, è ancora lì con quella roba?" Quale migliore banalizzazione si poteva operare attraverso l'egemonia culturale? Quella "roba" è un elemento permanente e attivo di alterazione del libero gioco democratico, afferma Mauro. Un altro applauso separa le ultime tre domande dal pubblico, una sul caso Noemi che forse ha distratto la pubblica attenzione dalla supposta pista camorristica che non è stata approfondita, una sul perché la battaglia delle dieci domande non sia continuata e l'ultima, lunga e provocatoria che sottolineando il problema culturale italiano fatto di tante risorse intellettuali ma anche di una maggioranza politica che sembra contraddirle, chiede in sostanza quanto sia difficile essere italiani, fra l'amore per il calcio e l'inedia di fronte alla millesima inchiesta.
Mauro chiude rispondendo in modo cumulativo. C'è un grande pezzo di paese che chiede rappresentanza,al di là della maggioranza politica. Se tutta quella parte del paese potesse essere rappresentata, per lui non ci sarebbe più lavoro. Si tenta di rappresentarne una parte, una certa idea in cui tanta Italia si può riconoscere, repubblicana, una democrazia post-costituzionale in cui c'è un potere sovraordinato per una interpretazione della costituzione materiale da parte di questo potere, ed è una pratica quotidiana, questa. Se non puoi risolverla, costituzionalizza la mia anomalia. Resterai deformato per sempre ma a quel punto i confllitti finiscono, ne nascerà la nuova Repubblica, sembra dire il potere,ma "non si può cambiare la costituzione per adeguarla alla biografia di una persona", è la grande provocazione finale. Se un giornalista prima di scrivere un articolo sul premier deve pensare bene a ciò che scriverà perché potrà essere usato contro la sua persona, dov'è la libertà di stampa? Altra domanda che non solo non riceverà risposta, ma rischia (anche lei) di essere portata in tribunale (altro applauso e risate). E' quando si chiedeva Saviano. Non è la camorra che getta la vergogna sul paese, è chi denuncia che getta fango sul paese: è quanto afferma Berlusconi. Con queste citazioni Agostini ringrazia Mauro e il Festival e parlando a nome di tutti, sostiene pubblicamente Roberto Saviano.
Alla fine, Mauro si fa la domanda e si risponde: a cosa serve un giornale? Deve far dire alla persone : ho avuto degli strumenti di lettura, di intelligenza degli avvenimenti, per conoscere, per capire le vicende, per vedere e non solo guardare, per essere cittadino consapevole.
Un ultimo grande applauso accompagna il direttore di Repubblica fuori dal Pavone.
Quello che, però, merita l'applauso più forte, è l'affermazione che solo io ho potuto udire, ma che voglio scrivere qui. La silenziosa sconosciuta seduta al mio fianco a teatro se n'è andata con la frase più ottimista e piena di speranza : "E' proprio una brava persona". Che ho condiviso sorridendo e applaudendo, in silenzio. Ma con passione.
Lucia Settequattrini
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