mercoledì 21 aprile 2010

Journalism Lab. "L'ho letto sul telefonino: il futuro prossimo dell'informazione mobile"

Alle 17.00 di oggi nella bella sala Lippi dell'attuale sede di Unicredit Banca di Roma, un giornalista moderatore, Massimo Cavazzini, ha guidato un interessante excursus nelle possibilità attuali ed attuabili dell'informazione mobile.
Due gli "infiltrati" invitati: il primo, Raffaele Mastrolonardo, porta la sua peculiare ma interessante esperienza quale cavia di un esperimento che lo ha visto configurare la propria dieta mediatica unicamente a base di sei testate giornalistiche fruite tramite il suo I-phone 3GS. Nello specifico: La Stampa, Corriere della Sera, la Repubblica, Le Monde, The Guardian e New York Times, tutte rigorosamente apps del "melafonino". Mastrolonardo, che di mestiere vende contenuti a media come Sky.it e il Secolo XIX, ha tentato per una settimana di seguire le regole del "gioco": niente giornali, né riviste, né tv, né radio. Il Web? Un compromesso. Niente siti, Rss reader né blog. Solo la lettura di e-mail in arrivo e Facebook, tutto rigorosamente tramite il telefonino. I risultati? Sorprendente, ha continuato Mastrolonardo, la velocità di adattamento della prima mezza giornata di esperimento. Aiuta moltissimo il "tocco" con cui si usa il device, che stabilisce intimità con l'utente. Nonostante le apps non si discostino molto l'una dall'altra, per un tipo di utenza come questo il livello è stato accettabile.
La prima giornata è scorsa veloce ed "esaltante" per il fatto di cronaca che la ha contrassegnata: il deragliamento del treno a Merano.
Le dolenti note: iniziano dal secondo giorno. La mancanza di link esterni (tranne parzialmente per il New York Times) hanno scatenato una "sindrome da claustrofobia informativa". Anche internamente manca quella correlazione che porta l'utente a quella che gli anglosassoni chiamano serendipity, scoprire qualcosa che non si era cercato, circostanza tipica della rete.
Terzo giorno: è il giorno del terremoto in Cina, notizia che scalza il deragliamento di due giorni prima, anche per motivi di spazio. Mastrolonardo conclude, quindi, che alla fine la "lettura estensiva di news su I-phone è una passo indietro": mancano le "valvole di sfogo" che altri supporti forniscono. Di bello, invece, ci sono la funzionalità "My news" di Repubblica (individua arogomenti di cui si può essere avvertiti anche a app spenta), la leggibilità del New York Times , per font e sua dimensione e la navigabilità del Guardian. Le Monde, inoltre, pubblica alcuni commenti dei lettori.
Ed è qui che la discussione sta per entrare nel vivo, dopo la curiosità dell'esperimento comunque illuminante: l'unica app gratuita è quella de La Stampa, mentre le altre due italiane richiedono 4 euro e 99 centesimi al mese ciascuna.
News come merci? E' la domanda che ha lanciato sul suo blog il secondo "infiltrato", Gianluca Diegoli di Minimarket.it prima di partecipare a questa tavola rotonda di oggi al Festival. La news difficilmente ha un prezzo, dice. Le barriere alla sua diffusione in rete sono praticamente pari a zero e rimane difficile stabilire chi è disposto a pagare per una notizia quando può averne una "free" : le barriere diventano tecnologiche in quanto ostacolano i micropagamenti, un paywall che impedisce di remunerare il lavoro dietro la notizia, soprattutto quando costa pochissimo. Come avvenne per la musica e poi per il cinema in rete, muri potenti rischiano in questo caso di far ignorare il contenuto e di consegnare, continua Diegoli, il business a chi i muri li produce. Per di più, riallacciandosi a Mastrolonardo, quando si ha la sensazione costrittiva di qualcosa scritto per un'altra piattaforma, la disposizione a pagare diminuisce ulteriormente.
E' a questo punto, ed energicamente, che interviene Luca Tremolada, de Il Sole 24 ore. " Le notizie non sono merce", inizia perentoriamente, fornendo subito dati coinvolgenti: in un mese su Internet passiamo 52 minuti a leggere notizie (cosa che corrisponde più o meno a due titoli di una home page e due servizi), 7 ore sui social media, 3 sui giornali on line, una e mezzo sul porno, il resto sull'informazione. Ad effetto, Tremolada chiede alla platea: "Cosa pago?". Probabilmente il background, le chiavi di lettura necessarie a chi legge per capire cosa sta accadendo.
Un esempio molto diverso da quello nazionale è la redazione de El Paìs, esempio di professionisti multitasking i quali lavorano le news per tutte le piattaforme: la lanciano per il mobile, poi online, per la carta stampata e per la radio. Il metodo è veloce è completo, e rende l'editore onnipresente, ma la qualità?
E' la volta, infine, di un'altra "outsider": Natascia Edera, da quasi dieci anni in Vodafone e più recentemente anche lei blogger con un piccolo progetto editoriale. La sua esperienza dice che in generale si percepisce una differenza fra notizia e informazione all'interno della sua community, laddove la seconda ha un valore personale e viaggia parallela.
Rimane il quesito del valore economico dell'informazione: dopo alcuni interventi del pubblico in sala, la conclusione, intelligente come il resto dell'evento, è che questo valore risiede nel tipo di informazione che risolve anche il problema. Content is king ma anche, o meglio, nell'informazione mobile, chiude Massimo Cavazzini, context is king.

Lucia Settequattrini

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