sabato 24 aprile 2010

Viaggio a zonzo nella storia della critica televisiva italiana e dintorni

Si è svolta a Perugia, nel quadro del Festival Internazionale del Giornalismo, la presentazione del libro “La coscienza di Mike”.

Il 22 aprile si è tenuto all’hotel Brufani l'incontro con Nanni Delbecchi, autore della Coscienza di Mike, “una storia d’Italia dal punto di vista del totem di massa che è la tv”. Il libro parte, ovviamente, dall'esordio della tv italiana (il 1954) che vede nella tv (è Delbecchi a dirlo) “la dama di compagnia” e nella stampa “la regina” e arriva ai giorni nostri, in cui questo rapporto con i giornali è completamente invertito. La ragione per cui la televisione è riuscita ad operare questo ribaltamento probabilmente è da ricercarsi nell'operato dei suoi validissimi critici che - parafrasando Hemingway - hanno saputo (differentemente da quelli d’arte, teatrali, cinematografici e letterari) “raccontare cose da mille dollari con parole da un dollaro e non cose da un dollaro con parole da mille”. Dal medium più “basso” è infatti scaturita la critica non solo più “alta”, ma anche più vitale e frizzante: Campanile, Del Buono, Placido, Saviane, Guareschi.
La critica televisiva ha quindi sicuramente avuto da sempre il merito di non essere snob, di essere – come ha osservato Francesco Specchia (critico televisivo di Libero) – al servizio di quelli che al cinema non guardavano magari La Dolce Vita, Rocco e i suoi fratelli e L’avventura ma preferivano andare a vedere i non meno importanti film di Monicelli, di Risi e di Totò.
Tuttavia, oggi, una malintesa inclinazione popolare ha portato questo genere giornalistico (e in una certa misura anche letterario) a perdere completamente mordente; dice a tal proposito Giorgio Simonelli (docente di giornalismo televisivo): “bisogna impedire a quella che oggi è la maggior parte degli addetti ai lavori di dire questa frase: ‘tu non puoi dire che questo programma fa schifo, perché facendolo, offendi i sei milioni di spettatori che lo guardano’. Per quale motivo, dicendo che la Pupa e il Secchione è una schifezza offenderei il pubblico? Offendo, semmai, gli autori di quella trasmissione”. Prosegue poi Simonelli: “bisogna liberarsi della schiavitù dell’auditel, gli autori televisivi tornino a scrivere trasmissioni che a loro piacerebbe vedere realizzate e la smettano di creare format che assecondano i dettami delle curve di ascolto”; parole sagge.

Jacopo Giombolini

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