domenica 25 aprile 2010

Giornalismo e politica

Sulle note di "Hallelujah", nella versione di Jeff Buckley e le immagini di Maria Grazia Cutuli, si svuota lentamente la Sala dei Notari per fare spazio a Angelo Mellone de Il Tempo, Aldo Cazzullo del Corriere della Sera e Giuseppe Cruciani, Radio 24. Tre personaggi, una sola generazione, che ha visto il giornalismo diventare prosecuzione della politica. E questo è il male, secondo Mellone, sottilmente polemico con certo giornalismo un pò troppo schierato. Quella attuale, invece, di generazione ha, ad esempio, continua Cazzullo, un rapporto molto più pacifico e pacificato con gli Stati Uniti, magari non paritario, ma certo non di subordinazione culturale. Rimane, però, il peso del direttore del giornale sul giornale stesso, peso diverso nel resto d'Europa.
E i giornali: quelli "polarizzati" (ancora parole di Cazzullo), che confortano il lettore, reggono; gli omnibus, tra cui il suo, faticano. La colpa? Non certo dei lettori, chiude il giornalista del Corriere. E la radio? La parola passa a Giuseppe Cruciani, che approfitta della situazione radiofonica, particolare rispetto a quella della carta stampata, per sottolineare l'importanza della distanza dal politico e dalla politica, tanto fisica che morale. "Soffro quando ho qualcuno accanto, mi mette in soggezione e non riesco ad essere cattivo". Mai, sottolinea Cruciani, e poi mai va data la benché minima impressione di schieramento. Inoltre - e qui il conduttore si lascia andare - il materiale fornito quotidianamente dalla politica è spettacolo continuo, un grand guignol sempre ricco di ridicolaggini, aiutato anche dalla sovraesposizione mediatica di alcuni politici, che, magari, dovrebbero dedicare qualche ora al giorno anche al lavoro (e qui fa l'esempio di La Russa, in televisione dal primo mattino fino alla sera).
Arriva l'argomento Rai, probema principale per Cazzullo dell'invadenza della politica. Il gioco delle lobby è il tarlo da estirpare, fatte salve le tante professionalità al suo interno. Il presidente del consiglio, nello specifico, è anche il primo editore italiano, ricorda il giornalista del Corriere, e, senza scoraggiare i giovani aspiranti giornalisti, rimane una giagantesca anomalia nazionale. Berlusconi può cambiare con poco la vita di una persona, nel bene e nel male.
Arriva Alessandro Campi in sala, che Mellone saluta simpaticamente e la parola passa a Cruciani che, in merito al premier e agli spazi di libertà, manifesta una qualche stanchezza a riguardo. Il conflitto di interessi è ormai uno stato di fatto di cui prendere coscienza e andare avanti. Potrebbe, aggiunge, non essere la priorità per molti italiani. L'occasione è ghiotta: parte l'esilarante racconto di una puntata della sua trasmissione il cui tema era "Sesso e politica" in cui Rocco Siffredi ha cominciato a parlare inaspettatamente del "sesso di Berlusconi e delle sue dimensioni" con insistenza e, apparentemente, a ragion veduta. Fioccano le chiamate e i messaggi a Cruciani, tra cui, ovviamente la direzione e la presidenza dell'emittente che, soprendentemente, dichiara di essersi trovata in difficoltà non per l'argomento ("voliamo alto", butta lì Cazzullo durante il racconto) ma per non aver saputo chi fosse Rocco Siffredi. La platea applaude divertita.
Il giornalista radiofonico, dice Mellone, ha un'audience forte ed influente di cui, continua Cruciani, la politica non si è (del tutto) accorta; un esempio fra tutti, la prima intervista Zapatero, dopo l'elezione, la fece alla radio. E' una questione anche di linguaggio, conviene Mellone, che si rivolge di nuovo a Cazzullo riprendendo la sua definizione di giornali polarizzati e omnibus. Il giornalista ne approfitta per dire qualcosa che non aveva finora avuto occasione di dire: "qualsiasi elezione in Italia è una partita truccata finché il presidente del consiglio è il principale editore italiano". Un grosso applauso accompagna la forte affermazione che viene poi completata dal giornalista del Corriere : questo fatto non risolve il conflitto degli interessi, anche se Berlusconi ha pieno diritto di governare. Conflitto che, pur non rappresentando, forse, spunto di interesse per molti italiani, rimane un problema innegabile.
Per quanto riguarda i giornalisti, il problema è saper criticare. Se la critica è accompagnata da un insulto, non è più critica. Il divismo è segno che il controllo sfugge di mano. Cruciani smorza la polemica, dicendo che questo fa parte un pò del gioco. Cosa pensa, per esempio, gli chiede Mellone, del giornalismo di Feltri? Gli piace?
Cruciani annuisce. Vittorio Feltri, secondo lui, non sposta consensi. Il suo è un giornale che cerca come tutti il proprio elettorato. Il direttore è un animale che fiuta, né più e né meno, deve anche lui vendere copie e lo fa a modo suo. Non rappresenta, certo, un problema nel panorama della stampa italiana. Così come Berlusconi, riprende Cazzullo, vince con le televisioni, intercetta gli interessi degli italiani. Non va affidato, però, al giornalismo il compito di far fare carriera al presidente del consiglio (altro applauso).
Il declino del berlusconismo , continua Cazzullo, è cominciato non col caso Noemi, ma giovedì scorso. Quando il federalismo fiscale presenterà il conto al Sud, un partito della nazione che possa rappresentare non solo una istanza culturale, ma anche un interesse, sarà necessario. Quest'ultima affermazione, ovviamente, scalda la platea, solo scarsamente diminuita nonostante sia quasi ora di pranzo. E' un momento molto difficile per il giornalismo, che manda in pensione professionisti non ancora sessantenni e cioè, nel pieno della loro maturità espressiva e di esperienza.
Il futuro è positivo, secondo Cazzullo, comunque. Sostenendo la neutralità, per quanto possibile, del suo giornale, vede la necessità di redazioni giovani, che parlino della loro generazione. Su questa affermazione la generazione seduta al tavolo e quelle in platea concordano.

Lucia Settequattrini

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